mercoledì 3 agosto 2016

PAPA FRANCESCO: PAROLE CHIARE SU IDEOLOGIA DEL GENDER E GNOSTICISMO (UNA FEDE SENZA CRISTO)

Nella ridda di dichiarazioni (vere, presunte o... pretese!) stiano serviti i propugnatori dell'ideologia gender (così finalmente vedranno che quanto dico, affermo e insegno è in perfetta linea con il Magistero del Papa - non posso, né voglio fare altrimenti!).
Parole chiare, finalmente, anche sull'eterna eresia della Gnosi, e sulla tentazione di una spiritualità "senza Cristo"E come sempre, emerge la grandezza del nostro amato Benedetto XVI, e - sia lecito - l'umiltà di Francesco: succedere a un Gigante non è certo facile...
Preghiamo per Loro, e per il trionfo della Fede Cattolica e della verità nell'unica, vera, santa Chiesa: Cattolica, Apostolica, Romana.



“Ha ragione Benedetto: è l’epoca del peccato contro il Creatore”

Le parole dell’incontro di papa Francesco con i vescovi polacchi, il 27 luglio a porte chiuse, diffuse oggi. Il gender tra i temi affrontati, su cui il Pontefice è d’accordo con Ratzinger
DOMENICO AGASSO JR
CITTÀ DEL VATICANO

Ecco quello che papa Francesco ha detto nell’incontro con i vescovi polacchi durante la Giornata mondiale della Gioventù di Cracovia. È stato un dialogo a porte chiuse, quello del 27 luglio in Cattedrale, di cui padre Federico Lombardi, da due giorni ex direttore della Sala stampa della Santa Sede, ha riferito parlando di un clima «molto semplice e familiare», ribadendo che «la maggior parte dei vescovi sono semplici, non sono le vecchie guardie che mettono un po’ in soggezione, ma non è che ci siano dei misteri, l’incontro si è svolto in totale familiarità». Nessun mistero, infatti, perché oggi il Vaticano ha pubblicato il resoconto dello scambio tra i presuli polacchi, che hanno sottoposto quattro domande, e il Pontefice. Il tema del gender è tra quelli affrontati in modo particolare da Papa Bergoglio, che ha affermato di essere d’accordo col suo predecessore Benedetto XVI: «Questa è l’epoca del peccato contro il Creatore». 

«In Europa, in America, in America Latina, in Africa, in alcuni Paesi dell’Asia, ci sono vere colonizzazioni ideologiche – ha ripetuto - E una di queste, lo dico chiaramente con “nome e cognome”, è il gender». «Oggi ai bambini, ai bambini!, a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi. Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti. E questo è terribile. Parlando con Papa Benedetto - ha riferito - che sta bene e ha un pensiero chiaro, mi diceva: “Santità, questa è l’epoca del peccato contro Dio Creatore!”. È intelligente! Dio ha creato l’uomo e la donna; Dio ha creato il mondo così, così, così..., e noi stiamo facendo il contrario». 
[...]
Sulla scristianizzazione: «La secolarizzazione del mondo moderno è forte. È molto forte. Ma qualcuno dice: Sì, è forte ma si vedono fenomeni di religiosità, come se il senso religioso si svegliasse. E questo può essere anche un pericolo. Credo che noi, in questo mondo così secolarizzato, abbiamo anche l’altro pericolo, della spiritualizzazione gnostica: questa secolarizzazione ci dà la possibilità di far crescere una vita spirituale un po’ gnostica»; Francesco ricorda «che è stata la prima eresia della Chiesa: l’apostolo Giovanni bastona gli gnostici - e come, con che forza! -, dove c’è una spiritualità soggettiva, senza Cristo. Il problema più grave, per me, di questa secolarizzazione è la scristianizzazione: togliere Cristo, togliere il Figlio. Io prego, sento… e niente più. Questo è gnosticismo». 

Trovare «Dio senza Cristo – osserva - un Dio senza Cristo, un popolo senza Chiesa. Perché? Perché la Chiesa è la Madre, quella che ti dà la vita, e Cristo è il Fratello maggiore, il Figlio del Padre, che fa riferimento al Padre, che è quello che ti rivela il nome del Padre. Una Chiesa orfana: lo gnosticismo di oggi, poiché è proprio una scristianizzazione, senza Cristo, ci porta a una Chiesa, diciamo meglio, a dei cristiani, a un popolo orfano. E noi dobbiamo far sentire questo al nostro popolo». 

Il consiglio del Pontefice: «La vicinanzaOggi noi, servitori del Signore – vescovi, sacerdoti, consacrati, laici convinti –, dobbiamo essere vicini al popolo di Dio. Senza vicinanza c’è soltanto parola senza carne». 

venerdì 20 maggio 2016

IL DISCORSO DELLA REGINA. I PARLAMENTARI SI INCHINANO - di Paola De Carolis

Nel buio in cui brancola quest'Europa post napoleonica, che si crogiola nel perdere i simboli e i riti che da sempre la identificano, o che piuttosto li sostituisce con asettiche sessioni europarlamentari, con gesti insipidi, con volgari e pagliacceschi personaggi in cravatta nera (cravatta nera nel senso letterale: cosa s'intenda per black tie,  nemmeno se lo immaginano...) da Circo Barnum che credono di essere qualcuno solo perché depauperano i rispettivi concittadini riempendosi le tasche con profumati bonifici mensili, risplende ancora una volta la magnificenza della Monarchia tradizionale.
Non voglio qui disquisire del ruolo, talvolta deludente o addirittura pessimo, svolto dai Reali del Regno Unito; voglio invece celebrare la grandiosità dell'istituto della Monarchia, che (ormai soli) ben incarnano, seppur protestanti, con un fasto tutto cattolico.
Con i Parlamentari del Regno Unito, mi inchino commosso anch'io: ancora una volta, God save the Queen!
Buona lettura.

Il luccicchio è quasi abbagliante. Brillano i gioielli, le sete, il trono d’oro. 
L’arrivo di Elisabetta si capta nell’aria. A 90 anni mostra la grazia di sempre

di Paola De Carolis, da Londra


La corona imperiale, realizzata per Giorgio VI nel 1937, arriva in carrozza a parte, assieme alla spada dello Stato e a un cappello di velluto rosso bordato di ermellino, simboli del potere reale. Quando la sovrana raggiunge Westminster da Buckingham Palace i suoi ospiti sono già seduti. Cinquecento persone sugli spalti di pelle della Camera alta del Parlamento: lord, baroni e baronesse con il mantello cremisi, le mogli dei lord ereditieri in abito lungo, quasi tutte color crema, guanti bianchi e tiara, gli uomini in tight.
Dall’alto il luccichio è quasi abbagliante. Brillano i gioielli, le sete, il trono d’oro che occupa la parte centrale di una parete della sala. Nella tribuna riservata agli ambasciatori spiccano un fez, un turbante, un sari. Nella Strangers’ gallery, ovvero i posti generalmente tenuti per i membri del pubblico, qualcuno indossa oltre ai guanti il cappello. L’imminente arrivo di Elisabetta in sala si capta nell’aria. All’improvviso cala il silenzio. La processione degli araldi entra dalla porta di sinistra, la regina, accompagnata da Filippo, da destra. Il pubblico scatta in piedi.

Il mantello rosso
Se da una parte fa tenerezza, anziana, canuta, con lo sguardo rivolto in basso verso tre insidiosi scalini da superare prima di raggiungere il trono, dall'altra Elisabetta mostra a 90 anni la grazia e l’autorevolezza di sempre. Sorride a Filippo, che le è accanto e le porge elegantemente la mano per accompagnarla al trono. Ammira i paggetti che le sistemano lo strascico del mantello rosso sugli scalini, dà ai presenti il permesso di accomodarsi. Alla sua sinistra siede il figlio Carlo, con il viso colorito di chi passa tanto tempo all’aria aperta. Accanto a lui Camilla, vestita di crema pallido come la regina, sotto l’abito lungo le scarpe argento come la suocera.

Il «black rod»
In un silenzio reverenziale, tutti, sovrana inclusa, aspettano l’arrivo dei deputati. Come vuole la tradizione, è «black rod», l’usciere della verga nera, a condurli dalla Camera dei comuni a quella dei lord. Si fanno sentire: chiacchierano e ridono lungo i corridoi di Westminster. Giunti nella sala, si accalcano in piedi in fondo, David Cameron e Jeremy Corbyn in prima fila, gli altri accanto, dietro, sui lati, dove trovano spazio. Squilla un telefonino, subito zittito. La regina guarda divertita e comincia a leggere.

L’anno parlamentare
È il discorso che segna l’apertura ufficiale dell’anno parlamentare: 21 proposte di legge che rappresentano il programma dei conservatori per i prossimi dodici mesi. Prigioni più umane, broadband in più case, adozioni più semplici, una tassa sui cibi con troppi zuccheri per combattere l’obesità infantile, una carta per i diritti umani, il continuato impegno per la pace in Siria. Poche parole in fondo che spiegano il perché di un programma senza eccessive ambizioni. «Il mio governo terrà un referendum sull’appartenenza all’Unione europea». Dieci minuti e tutto finisce.
Il testo del discorso viene riposto dal Lord Chancellor. Elisabetta si alza, Filippo con lei. I paggetti riprendono il mantello, la processione riparte.

L’usciere
La sala gradualmente si svuota. Qualcuno rimane a chiacchierare. L’usciere della galleria in alto si avvicina. «È filato tutto liscio — dice soddisfatto —. Sembra facile, in realtà per arrivare a questo punto abbiamo lavorato molto». Snocciola i nomi dei lord presenti, differenzia tra chi ha ereditato il titolo e chi lo ottenuto di recente. Giù in basso, tra i sedili di pelle rossa, il suo occhio cade su una scollatura appena eccessiva. Alza le sopracciglia, ma non dice nulla.

domenica 24 aprile 2016

IL GENOCIDIO DEGLI ARMENI

In seguito all’arruolamento di un gran numero di Armeni nell’esercito russo, il governo dei “Giovani Turchi” ordina numerosi arresti all’interno delle comunità armene, cominciando da quella di Istanbul.
La scusa per iniziare una feroce persecuzione anticristiana: Armeni, ma anche Siri e Melchiti...
Cominciano le marce della morte, deportazioni verso il centro dell’Anatolia, che coinvolgono un milione e duecentomila persone, massacrate dalle milizie turche o sfinite dalle malattie o dalla fame. Il 24 aprile è il giorno in cui gli Armeni commemorano il genocidio del loro popolo.
E noi, con loro.

sabato 9 aprile 2016

I CRISTIANI CHE SI VERGOGNANO DELLE CROCIATE SONO SUCCUBI DEL LAICISMO DOMINANTE - di Mons. Luigi Negri

Un'interessante risposta di Mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara Comacchio e Abate di Pomposa a un articolo di don Federico Pichetto che condanna le Crociate, di cui i cristiani - dice sostanzialmente Pichetto - dovrebbero vergognarsi perché sono un tradimento del cristianesimo.
Il giudizio non riguarda solo l'evento storico in sé ma più in generale la posizione che un cristiano deve avere di fronte alle vicende del mondo, anche oggi. Giudizi gravi che meritano, seppure a distanza di tempo, una replica puntuale e autorevole.

Caro don Pichetto,
ti scrivo queste righe cercando di rispondere al tuo intervento sulle Crociate. 
In effetti tu parli di Crociate che non sono mai esistite: Crociate sostenute dalla nascente borghesia, che come ognun sa, alla fine dell’XI secolo - quando la prima Crociata fu bandita – non c’era nella società europea, o comunque era una minoranza con un potere limitatissimo.
E poi riprendi le Crociate come progetto di imposizione violenta del Cristianesimo a popolazioni straniere. 
Non tocca a me rifare il punto su questa vicenda secolare su cui la migliore storiografia, e non solo quella cattolica, ha dato un contributo decisivo.
Per dirla con il mio grande amico Franco Cardini, le Crociate sono state un grande «pellegrinaggio armato», protagonista del quale fu, nei secoli, il popolo cristiano nel suo complesso.
Una avanguardia di santi, una massa di cristiani comuni e, nella retroguardia, qualche delinquente.
Non so quale avvenimento della Chiesa possa sfuggire a una lettura come questa.
Sta di fatto che noi – cristiani del Terzo millennio – alle Crociate dobbiamo molto.
Dobbiamo che non si sia perduta la possibilità dei grandi pellegrinaggi in Terrasanta: nei luoghi della vita storica di Gesù Cristo e della nascita della Chiesa.
Alle Crociate dobbiamo che si sia ritardata la fine della grande epopea della civiltà bizantina di almeno due secoli, e si sono soprattutto salvate dalla dominazione turca le regioni della nostra bella Italia, che si affacciano sul mare Adriatico, Tirreno e Ionio, falcidiate da quelle sistematiche incursioni di corsari e di turchi che hanno depauperato nei secoli le nostre popolazioni. 
Anche la tua bella Liguria ha dovuto costruire parte dei suoi paesi e delle sue piccole città a due livelli - il livello del mare e il livello della montagna - per poter sfuggire a queste invasioni che hanno fatto morire nel buio della cosiddetta civiltà araba e islamica centinaia e migliaia di nostri fratelli cristiani, a cui era stata tolta anche la dignità umana e di cui noi facciamo così fatica a fare memoria.
Nessuna realtà cristiana esprime la perfezione della fede che è solo in Gesù Cristo, ma nessuna esperienza cristiana è invincibilmente diabolica. Passare dalla fede alle opere è compito fondamentale del cristiano di ogni tempo. 
Ora, per recuperare questa bellezza della storia cristiana bisogna guardare la realtà secondo tutta l’ampiezza cattolica. La mia generazione e quella di molti amici dopo di me - che per l’intelligenza e l’apertura di monsignor Luigi Giussani hanno potuto dialogare personalmente per esempio con Regine Pernoud, con Leo Moulin, con Henri de Lubac,  con Hans Urs von Balthasar, con Joseph Ratzinger, con Jean Guitton e molti altri - hanno un sano orgoglio della nostra tradizione cattolica.
Per questo sentono in modo assolutamente negativo desumere acriticamente l’immagine della Chiesa dalla mentalità laicista che cerca di dominare la nostra coscienza e il nostro cuore. 
Certo, l’essenza di questa tradizione cattolica - e che, quindi, comprende anche le Crociate - è il desiderio di vivere il rapporto con Cristo e di annunziarlo nella concretezza del suo popolo che è la Chiesa, nelle grandi dimensioni che rendono il cristiano autenticamente uomo: la dimensione della cultura, della carità e della missione. È questo il Cristo che sta all’origine di tante iniziative del passato e del presente. Nessuna iniziativa lo esprime adeguatamente, ma l’assenza di qualsiasi capacità di presenza nel mondo e di giudizio sulla vita degli uomini e sui problemi degli uomini fa dubitare che esista una fede autenticamente cattolica.
La fede in Cristo può rischiare di ridursi a essere spunto per mozioni soggettive e spiritualistiche da cui metteva in guardia il santo padre Benedetto XVI all’inizio della sua splendida enciclica Deus Caritas Est: un Cristo che rischia di stare acquattato nel silenzio della coscienza personale, che non diventa fattore di vita e di cultura, che non tende a creare una civiltà della verità e dell’amore. Ricordo ancora con commozione quando facevo la terza liceo una lezione di Giussani in cui disse letteralmente: «La comunità cristiana tende a generare inesorabilmente una civiltà». 
Nella mia esperienza pastorale e culturale ho sempre sentito come  punto di riferimento sostanziale la grande certezza di Giovanni di Salisbury che diceva: «Noi siamo come nani sulle spalle di giganti». È perché siamo sulle spalle di giganti che vediamo bene il presente e intuiamo le linee del futuro. È questo che rende così appassionata la nostra responsabilità, senza nessuna dipendenza dagli esiti, con la certezza di portare il nostro contributo, piccolo o grande che sia, alla grande impresa del farsi del Regno di Dio nel mondo, che come dice il Concilio Vaticano II coincide con la Chiesa e la sua missione. 
Un cordiale saluto
+ Luigi Negri