martedì 4 agosto 2015

PARLIAMO DI CACCIA, DI LEONI UCCISI E DI DEMENZA DIFFUSA – di Paolo Deotto

Un mondo occidentale, cosiddetto civile, che vive ormai sprofondato nella crudeltà e nel vizio più lurido, cerca di scavarsi una nicchia di verginità indignandosi per un animale ucciso. Rileggiamo le cifre della strage quotidiana, comunemente accettata (anzi, elevata a “diritto della donna”) di bambini, consumata col crimine dell’aborto. Siamo alla follia di una società smarrita.

Il mondo è indignato perché si è consumato uno di quei crimini che vanno al di là dell’umana immaginazione per efferata crudeltà, e che rendono il criminale degno delle più severe punizioni, sebbene sia impossibile immaginare una pena che possa bilanciare la mostruosità del crimine commesso.

Mamma mia, cos’è successo? È successo che un tale, ci informano che è un dentista americano che deve disporre di una quantità notevole di quattrini da buttare via, ha fatto una fesseria: ha ucciso un leone in violazione delle norme che regolano la caccia nello Zimbabwe. Pare che il leone sia stato attirato fuori da una riserva naturale in cui viveva e poi ucciso e che l’animale fosse un esemplare di particolare pregio, tra l’altro dotato di un collare elettronico perché oggetto di studio.

Sintesi: un cacciatore americano ha ucciso un animale nello Zimbabwe. Lo ha ucciso violando delle leggi locali e adesso rischia di pagare un conto salato, che andrà ad aggiungersi al conto (salato anch’esso: si parla di 50.000 dollari) che aveva già pagato al cacciatore locale professionista che lo ha aiutato.

Sintesi della sintesi: stringi stringi, cos’è accaduto? Un uomo ha ucciso un animale. Fine. Certamente si possono uccidere degli animali in modo lecito o illecito. Ma si tratta sempre, attenzione, di uccisione di animali. Se stasera, insieme a un po’ di insalatina, mi cucinerò una bistecca di tacchino (cena quanto mai dietetica e morigerata) non per questo mi sentirò in dovere di applicarmi ad amare riflessioni sulla morte del tacchino e sulla crudeltà di chi gli ha tirato il collo. Lo farei anch’io, se avessi un bel pollaio, ma purtroppo vivo in un condominio milanese e non in campagna.

È stato ucciso un animale, certamente bello e prezioso per gli studi naturalistici di cui era oggetto. Tutto vero. Ma resta sempre un animale e, per quanto si faccia il possibile per azzerarla, esiste una differenza tra bestie ed esseri umani. Esiste una differenza fondamentale tra il valore della vita di un uomo e il valore della vita di una bestia. Esistono regolari servizi di macellazione, esiste la caccia, e queste attività sono lecite e regolate da apposite normative.

Negli Stati Uniti (il cacciatore è cittadino americano) è scoppiata l’indignazione più scatenata, alla quale, è ovvio, si è associata l’indignazione anche in Italia. Del resto, non c’è nulla di nuovo. Da decenni e decenni scimmiottiamo gli Stati Uniti, soprattutto nelle porcherie (tante) che producono. I risultati li abbiamo sotto gli occhi.

Se leggiamo alcuni articoli (vedi il Corriere, o La Stampa, o Il Messaggero), abbiamo la cronaca di una reazione caratterizzata da isteria collettiva, alla quale si è associata, né la cosa stupisce – considerando l’irresponsabile che la occupa – la Casa Bianca. Molto interessante è leggere alcuni commenti nostrani. Ne prendiamo uno per tutti: tale Werther Nasolini scrive, in calce all’articolo sulla Stampa: “che vada in galera punto e basta. Una punizione esemplare 15 anni sono pochi”.

Pare che in effetti la pena prevista dalle leggi dello Zimbabwe per la caccia di frodo sia di 15 anni di reclusione. Adesso sarà interessante vedere se il governo degli Stati Uniti accoglierà la domanda di estradizione fatta dal governo del paese africano. Invano il dentista/cacciatore ha dichiarato di essersi fidato delle guide locali che aveva assunto per il suo costosissimo hobby, che gli avevano assicurato che tutto si svolgeva nel rispetto della legge. Il cacciatore deve  morire. La singolare moralità collettiva del pensiero unico lo ha già condannato senza appello.

Di tutta questa mattana si è occupato di recente anche Antonio Socci, con un articolo in cui fa notare che le uccisioni indiscriminate di cristiani a opera dei terroristi islamici non suscitano analoghe ondate di sdegno, né manca Socci di ricordarci che in alcuni paesi, evidentemente incivili, esistono tuttora uccisioni rituali di esseri umani, anche bambini. Anche per queste mostruosità, si chiede, chi organizza manifestazioni di piazza in cui urlare il suo sdegno?

Verissimo. Socci ha ragione. Ma c’è un altro aspetto che è importante sottolineare. Da decenni, ormai in gran parte del mondo che si auto-considera civile, il crimine di aborto è non solo legittimato con apposite normative, ma è stato anche elevato, nella mentalità corrente, a “diritto della donna”.

Ora, cosa c’è di più abominevole, vigliacco, osceno, dell’uccisione dell’essere umano più innocente e indifeso che ci sia, il bimbo che è ancora nell’utero materno? Per non parlare poi degli aborti che si effettuano semplicemente lasciando morire il bambino che ha avuto il cattivo gusto di nascere, magari prematuramente, ma vivo. E poi degli aborti “chimici”, e la galleria dell’orrore potrebbe continuare.

Se leggiamo le cifre della strage negli Stati Uniti, lo stesso paese dove in questi giorni folle isteriche stanno assediando l’abitazione del cacciatore, restiamo agghiacciati: tra il 2008 e il 2011 (ultimi dati disponibili), sono stati consumati annualmente da 1.100.000 a 1.210.000 assassinii di bimbi. Signori, leggiamo e rileggiamo queste cifre spaventose, che fanno impallidire la vivacità stragista di un Hitler o di uno Stalin. Questa strage va avanti da decenni.

Né si può dire che in Italia restiamo con le mani in mano. Ogni giorno in Italia si ammazzano mediamente 300 bambini. Certo, non siamo bravi come gli americani (la media americana di aborti pro die è di circa 3.150) , che però sono noti per la loro efficienza, e poi hanno una popolazione che è cinque volte la nostra…

Attualmente il mondo occidentale cosiddetto civile ha una priorità assoluta, che è il trionfo dei pederasti. Nulla è più favorito, coccolato, finanziato con soldi pubblici, di un bel “Gay Pride”, con tutta la sua esibizione oscena e squallida di glutei (e altro) di poveri pervertiti.

Per l’aborto non sono più necessarie manifestazioni di piazza, è ormai entrato nella mentalità comune, non fa più né caldo né freddo, è un “diritto”. L’aborto è un omicidio, l’omicidio, repetita iuvant, del più innocente e indifeso degli esseri umani.

E assistiamo all’assurdo spettacolo di un mondo, affogato nel vizio più lurido, schiacciato da una cappa di immoralità da cui non riesce più a districarsi, che cerca di mostrarsi “morale” indignandosi perché un cacciatore ammazza un leone.

Ripetiamo: un cacciatore ha ammazzato una bestia. Se poi lo ha fatto violando delle regole, potrà finire nei guai. Ma non è né un assassino né un essere spregevole. È, al più, un fesso (ci scusi, ma è così), perché poteva soddisfare la sua passione per i “safari” senza suscitare questo finimondo.

Ma una società – e il discorso vale per gli americani, come per noi, come per tutte le nazioni che hanno legittimato l’aborto – con quale oscena faccia tosta può indignarsi per un animale ammazzato, e ogni giorno assistere impassibile a centinaia, se non migliaia, di uccisioni di innocenti esseri umani?

È follia. È l’inevitabile punto di arrivo del relativismo, divenuto guida dell’agire umano. La differenza tra il bene e il male ormai è annullata. Resta un magma confuso, bagnato dal sangue di innocenti, e che cerca di rifarsi una verginità scatenandosi contro un uccisore di animali. Se questa non è follia, ditemi un po’ cos’è.

Piccola appendice. La follia del relativismo porta anche a risultati pratici folli. Nel marzo del 2010 una Corte del Kansas condannò alla reclusione “per non meno di 50 anni” Scott Roeder, che un anno prima aveva ucciso a colpi di pistola il dottor George Tiller, uno dei più famosi medici abortisti degli Stati Uniti. Il dott. Tiller, che sosteneva di agire “in difesa dei diritti della donna” aveva al suo attivo, e se ne vantava, migliaia e migliaia di aborti. Era, insomma, un assassino seriale di bambini. L’uccisore, Scott Roeder, si consegnò spontaneamente alla polizia e non rinnegò mai, neanche in tribunale, il suo gesto. Dichiarò ai giudici: “il dottor Tiller andava fermato, dovevo farlo. Ora Wichita (la città del Kansas dove avvenne l’uccisione – NdR) è un posto di gran lunga più sicuro per i bambini non nati”. “George Tiller – aggiunse – ha smembrato bambini vivi con l’approvazione dello Stato e la benedizione della Chiesa. Bisogna obbedire sia all’uomo sia a Dio. Ma occorre scegliere”.

Possiamo partire dal presupposto che “nessuno deve farsi giustizia da solo” e concludere che Scott Roeder ha meritato la condanna. Però se riflettiamo sui fatti, vediamo che la situazione è ben più complessa, quasi inestricabile. Il dottor Tiller era senza dubbio un assassino pericolosissimo. Però non esistevano gli strumenti di legge per fermarlo, perché l’aborto è legittimo. Sul fatto che un medico abortista vada fermato, non v’è dubbio. È giusto che lo faccia un privato cittadino? Domanda senza risposta, almeno immediata. Non sappiamo se nel Kansas viga la pena di morte, ma di sicuro anche in quello Stato un assassino seriale verrebbe condannato, come minimo, a passare il resto dei suoi giorni in prigione.

Quesito finale: Scott Roeder è un assassino o un giustiziere? Non mi sento e non voglio dare un giudizio.

Però è utile ricordare questo fatto, perché dimostra che la società senza guida morale, schiava del relativismo, si infila in circoli viziosi pericolosissimi, da cui non sa come uscire. E di fronte agli innocenti uccisi, si straccia le vesti per una bestia uccisa…

(tratto da Riscossa Cristiana)

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